Gentili lettrici e lettori, siamo lieti di annunciare l’uscita del decimo libro di Formebrevi: Pupazzi di pioggia, di Bartolo Anglani. Per lungo tempo lontano dal pubblico, oggi è disponibile in una bellissima veste grafica. Buona lettura!
La trama
Cinque personaggi – un Signore Irrequieto, un maggiordomo chiamato Domani, una Signora Grassa, un Commendatore Distratto, un Giovane Timido – si imbarcano per un viaggio di piacere e di avventura su una nave guidata da un Capitano e governata da un marinaio di nome Perfetto Imbecille. Ma il piacere e le avventure non vengono, perché un Impiegato dell’Agenzia Viaggi ha truccato l’itinerario e con le sue strane istruzioni costringe la nave ad errare sui mari. I personaggi si rifugiano allora nel racconto di avventure immaginarie. Ma, approdati su una costa sconosciuta, dopo aver scoperto che i personaggi del racconto inventato – il Re Incerto VII e sua moglie la Regina Giubilosa, insieme con molti altri più o meno secondari – esistono davvero, finiscono per rimanere implicati nelle loro storie.
Ascolta un estratto
Di seguito, è possibile leggere un brano tratto dalla postfazione:
Trenta per fare cifra tonda. A contarli, qualcuno di più. Cominciai a comporre i Pupazzi di pioggia all’inizio degli anni Ottanta. In quell’epoca si scriveva a mano, si batteva a macchina, si correggeva il dattiloscritto, si ribatteva… In certe ore del giorno e soprattutto della notte non si poteva lavorare per non disturbare vicini e familiari con il ticchettìo dei tasti. Avevo tentato alcuni romanzi, prima d’allora, e dopo aver steso un paio di capitoli per ciascuno mi ero sempre fermato. Ogni volta mi rendevo conto che le pagine scritte non avevano alcun senso riconoscibile ed erano zeppe di citazioni di altri romanzi, di imitazioni, di orecchiamenti. Evidentemente non ero idoneo a creare un romanzo vero e proprio. Dopo tre o quattro fallimenti, mi venne da pensare che tanto valeva trarre partito da quei difetti, rovesciandoli in opportunità, e immaginai un romanzo che non solo non aveva alcun senso ma si vantava quasi di non averne ed era costruito per gran parte con citazioni, dirette o indirette, da romanzi, racconti, riflessioni altrui. Visto che non ero capace di uscire dai luoghi comuni, tanto valeva intrecciare una specie di sottisier che non si vergognava di essere tale. In un émpito di autoesaltazione feci il mio 8½, ossia raccontai l’incapacità di scrivere e anzi di progettare un romanzo nel pieno significato della parola in cui accadessero fatti, si muovessero personaggi verosimili e il racconto arrivasse dopo qualche peripezia a una qualche conclusione. Tutto si muoveva nel groviglio di una nostalgia inappagata per un mondo in cui le storie erano state storie, i personaggi erano stati personaggi, i romanzi avevano avuto un inizio, uno svolgimento e una conclusione. Avevo trascorso le migliori ore della mia vita, fin da bambino, immerso nelle grandi storie dei grandi scrittori, e non riuscivo a capire perché improvvisamente quel mondo si fosse perduto e nessuno più fosse capace di riprodurre quei miracoli. Nessun nuovo Stevenson, nessun nuovo Mark Twain mi stimolavano ormai a perdermi in una storia fino a non percepire lo scorrere del tempo. Un proverbio dice che a tavola non s’invecchia, ma io ho sempre saputo che è leggendo che non si invecchia perché durante la lettura − a patto che essa sia capace di coinvolgere la totalità dell’essere − il tempo si ferma e anzi a volte arretra, e alla fine del libro il lettore è diventato più giovane e certe volte è ridiventato bambino.
L’idea del titolo mi fu suggerita da una vignetta di Schulz in cui l’infernale Lucy chiedeva non ricordo più a quale delle sue vittime: «Hai mai provato a fare un pupazzo di pioggia?» Mi venne in mente che la creazione di personaggi veri o verosimili era un’operazione talmente difficile da poter essere descritta con quell’immagine: fare un pupazzo di pioggia. Tutti son bravi a fare un pupazzo di neve: ma di pioggia? Incapace com’ero di fabbricare veri pupazzi di pioggia, avrei raccontato la storia di personaggi riusciti a metà. Un bel giorno lessi il bando del primo premio Calvino. Con Italo Calvino avevo avuto un breve rapporto per l’edizione delle opere di Giammaria Ortes, ma avevo ritenuto poco fine approfittare di quella conoscenza accademica per ammannirgli la lettura del mio romanzo. Ero anche intimorito del fatto che Calvino, in un articolo apparso sulla «Repubblica» (e ora compreso nella raccolta delle sue opere) mi aveva descritto, senza avermi mai incontrato di persona, come una specie di erudito appassionato di scartafacci. E poi, pensavo, chissà quanti pacchi di fogli riceve ogni giorno da aspiranti romanzieri! Perché aggiungere la mia tortura alle altre? Dopo qualche mese il grande scrittore venne a mancare e il problema si risolse brutalmente e per sempre. Ma, quando seppi del concorso intitolato a Calvino, decisi di partecipare con i miei Pupazzi, che inaspettatamente entrarono in finale, con altri undici romanzi, ma non ebbero il premio perché quell’anno la giuria decise di non assegnarlo. Così rimasi vincitore ex aequo in una compagnia piuttosto numerosa.
Alcuni editori, incuriositi, vollero leggere l’opera e dopo qualche mese mi risposero tutti di non poterlo pubblicare. Alcuni sentenziarono che il romanzo era decisamente brutto e incomprensibile, e mi consigliarono di rinunciare definitivamente alla letteratura; altri trovarono lo scritto bellissimo, arguto, ironico, intelligente ma, quanto a pubblicarlo, affermarono dolenti che non rientrava nei programmi e nel profilo della casa editrice. Nessuno lo definì un’opera media e decorosa che con qualche ritocco editoriale sarebbe potuto diventare accettabile: o porcheria o capolavoro, senza mezzi termini. Tutti però si accordavano nel decretare che era impossibile pubblicarlo.
L’autore
Bartolo Anglani è stato docente di letterature comparate all’Università di Bari, e in tale veste ha pubblicato numerosi volumi e saggi di critica. Per tutta la vita ha coltivato la scrittura letteraria. Ha composto e visto andare in scena due commedie. Nel 2014 ha pubblicato la raccolta di racconti Cento modi per morire con l’editore Stilo di Bari. Il romanzo Pupazzi di pioggia entrò in finale al primo Premio Calvino. L’autore si è deciso a pubblicarlo dopo più di trent’anni.
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